Lo stage impossibile nell’editoria Italiana

Ogni anno sono tanti i giovani che sognano di affacciarsi al mondo dell’editoria.

L’offerta didattica per chi vuole lavorare in una casa editrice è varia è complessa.

Spesso si sente parlare di crisi del mondo del libro, dove il precariato certo non manca, eppure ogni anno sono molti i giovani che sognano di affacciarsi al mondo dell’editoria, che evidentemente continua ad affascinare. L’offerta didattica, per chi punta a lavorare in una casa editrice (passando, come quasi sempre accade, per uno stage), o comunque nella filiera del libro, è varia e complessa: master, corsi, esperienza lavorativa post laurea. Queste le tre possibilità, le prime due a pagamento (a partire da 3.000 euro), la seconda, più unica che rara.

Sono molte le Università e le Case Editrici che hanno sviluppato negli anni corsi.

Corsi in grado di insegnare tutti gli strumenti per cominciare un percorso lavorativo in questo campo bellissimo, ma anche spietato perché, non ci dimentichiamo, in Italia si legge poco e si pubblica forse troppo. E infatti, nell’editoria come per molti altri settori del lavoro, avere il “pezzo di carta” non garantisce affatto la possibilità di lavorare e chi ha affrontato questo percorso, lo sa benissimo!

Come Lucrezia Giorgi, di Macerata, con una laurea in Antropologia e una in Italianistica.

“Fin da bambina i libri hanno letteralmente riempito la mia vita, sia in senso fisico, le pareti di casa mia strabordano di carta, sia in senso spirituale, per citare Umberto Eco, ‘chi legge vive 5000 anni’, ed in 5000 luoghi aggiungo io, cosicché non ho mai immaginato un futuro privo di lettere, scrittura, inchiostro. Devo ammettere di non essere cambiata affatto: mi alimento ancora della magnifica illusione di poter vivere della mia ispirazione”.

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“Tuttavia c’è un unico, grande inconveniente: il Sistema-Italia. Vi racconto. Lo scorso agosto, impigrita dalla calura, vagavo in internet alla ricerca di proposte lavorative quando sono incappata nel sito dell’editrice inglese Penguin. Tra le sezioni principali della home page compariva la voce ‘Work Experience and Internships’; addentratami con curiosità, ho scoperto di potermi candidare per uno stage retribuito di due settimane. Così ho fatto”.

“Dopo una manciata di giorni ho ricevuto un’inattesa risposta: la mia sincera lettera motivazionale era tanto piaciuta da farmi accogliere a braccia aperte nonostante passaporto italiano e accento non molto posh. Il 30 settembre scorso è dunque iniziata la mia avventura presso l’ufficio del dipartimento editoriale della MJ all’80 Strand di Londra, dove ho avuto modo di apprendere così tanto che il resoconto necessiterebbe pagine e pagine”.

“La sola chance di sedere a fianco di persone che lavorano nel settore da tempo per osservarne le mansioni si è rivelata un passo enorme nella comprensione dei meccanismi che precedono la comparsa dell’ennesima copertina sugli scaffali di una libreria. Ho inoltre avuto modo di tradurre, leggere manoscritti, scrivere recensioni: il paradiso terrestre”.

“Tornata nel bel paese con le migliori intenzioni, il contraccolpo: di nuovo con i piedi per terra, anzi, per meglio dire, sottoterra. Ottenere uno stage, anche non retribuito, presso editori italiani è pressoché impossibile, i siti web non hanno sezioni dedicate alle internship e quelli che lasciano aperto uno spiraglio indicando un indirizzo mail poi non rispondono, neanche per dire di no. Investire sulle giovani menti brillanti non va più di moda, lo sappiamo, e, se di formazione umanistica, davvero ‘non ci resta che piangere’”.

Che la situazione sia questa, purtroppo, lo sappiamo benissimo!

Non solo l’editoria, in Italia, è uno di quei settori dove è davvero difficile far breccia. Ma cosa fare? Davvero emigrare è l’unica soluzione per chi non è pronto ad abbandonare i suoi sogni? Oppure forse lo sforzo maggiore dovrebbe essere delle Case Editrici che dovrebbero far squadra, rifiutando guadagni semplici con libracci inutili e sciatti e puntare di più su cultura e qualità dove con tali termini, non s’intende solo autori e opere auliche di alto livello, ma anche buoni testi di genere, che negli ultimi anni hanno dimostrato poter far girare grandi numeri (e soldi).

Come la Saga di Geralt di Rivia (meglio nota a molti come The Witcher), una serie di romanzi e racconti fantasy scritta dall’autore polacco Andrzej Sapkowski tra il 1990 e il 1999 e ripresa nel 2013. I libri sono stati adattati prima in un una serie videoludica di grande successo, poi in fumetti, film e una serie televisive promossa da Netflix che ha portato alla ribalta l’autore al grande pubblico anche in Italia, facendo ripartire la vendita dei libri qui da noi, ma anche altrove la serie ha avuto successo.

Davvero in Italia non ci sono autori in grado di poter ottenere il medesimo successo?

Vero che per The Witcher (in tutte le sue forme) la tenacia dell’autore si è mischiata a un pizzico di fortuna e sicuramente un buon marketing proprio come quello che ha portato alla ribalta la serie di Harry Potter, ma ci sono autori italici di eguale valore che non vengono messi in risalto  da parte delle Case Editrici che tra spingere un autore all’estero, preferiscono farsi la guerra per accaparrarsi quel poco di stupefacente che proviene da fuori… e poi intanto puntano ai volumi di vendita con nomi noti, subrettine, politici, comici e starlette del momento.

Grazie dell’attenzione, Paul D. Dramelay